La città in cui vivo
La città di provincia è Latina, giovanissima cittadina Laziale posta al centro di una pianura che davanti ha il mare Tirreno e dietro i monti Lepini, un clima mite una posizione invidiabile ma un vicinanza ingombrante, la città di Roma. Il cittadino sono io, e basta leggere qui affianco il mio profilo.
La città che non c’è
.
Ma purtroppo questa non è una favola e se ci sarà un lieto fine lo diranno i posteri. Molto probabilmente è presto per poter avere per la nostra città tutto quello che i cittadini desiderano. Il mio pensiero modesto è che nel tempo, fino ad ora, ci siamo interessati troppo e spesso a faraonici progetti che potessero cambiare il volto della nostra città. in effetti era sufficiente, in questi primi anni, renderla più attraente, più bella ed appetibile con interventi più di facciata, per darle più importanza e renderla una città bella da andare a vedere e curiosare tra le sue piazze metafisiche. Solo dopo si sarebbero potuto realizzare dei collegamenti stradali degni di questo nome e che ancora oggi non abbiamo. Solo dopo si sarebbe potuto pensare alle terme, ai porti, agli aeroporti che oggi nemmeno ci sono nemmeno nella fantasia. Ma comunque la prima operazione necessaria per fare una città è quella di fare i cittadini.
Forse perché la stazione di Latina fa un po’ pena, pur con la sua architettura originale e caratteristica di un certo periodo, ed è sempre più difficile farne uso, forse è per questo che Latina ormai ha perso tutti i treni che di lì sono passati e che, per la verità hanno fatto finta di fermarsi, ma poi sono ripartiti a razzo. Fuori metafora, le terme, l’aeroporto, tutti i progetti tesi a far decollare il Turismo, la metro, pardon il tranvetto, la nuova pontina o corridoio tirrenico che sia, le varie bretelle, e forse ora il porto, sono altrettanti treni che hanno fatto solo finta di fermarsi al nostro scalo ferroviario. Ma forse era necessario prenderli al volo. Le uniche due cose che stiamo vedendo sono l’intermodale che funziona a singhiozzo e ancora non si sa che futuro avrà, e la nuova 156, una strada stile anni cinquanta, che nemmeno a Campobasso e nel profondo sud, con tutto il rispetto, ce l’hanno più, o se ce l’hanno è da cinquanta anni. Degli amministratori che si sono susseguiti al governo della nostra città le abbiamo dette tutte, della loro incapacità a farsi ascoltare dai politici in sede centrale, pur essendo quasi sempre dello stesso colore. Mi sembra quindi ripetitivo stare di nuovo a recriminare su quello che essi non hanno fatto per la loro e la nostra città. Ma, e qui sta la novità, se essi sono quel che sono, semplicemente lo sono perchè anche la gente in mezzo alla quale sono stati scelti, è fatta della stessa pasta. Mi spiego. Che la città di Latina abbia perso tutti questi treni importanti, e ne stia per perdere altri, non è che alla gente comune interessi poi tanto. Se solo pensiamo all’ultimo scippo che ci hanno fatto, quello dell’aeroporto, penso che se fosse successo altrove sarebbe successo il finimondo, forse una sollevazione popolare. Qui, invece una scrollata di spalle e via. Intendiamoci, non è che stia invocando le rivolte popolari che altrove hanno portato intere popolazioni a rivendicare i propri diritti, ma penso che se la gente di Latina, tutta insieme, avesse fatto sentire la propria voce di protesta e di richiesta, i nostri politici, forse, pungolati a dovere, avrebbero fatto sentire di più la loro voce e avrebbero ottenuto qualcosa di più. Quello che manca quindi qui a Latina è la gente. La gente unita e coesa, capace di farsi sentire per difendere i propri diritti. E’ vero che Latina è una città giovane, ma, anche se gli ottanta verso cui sta viaggiando, non sono gran che per una città, qui esiste già gente, nata, cresciuta, e che si sta facendo vecchia in questa terra pontina. Una città giovane e piena di giovani, famosa per le belle ragazze e per una bella gioventù in genere, per gente importante in diversi campi, con qualche straccio di tradizione, anche se appena abbozzata Una città però che stenta a formare un abbozzo di comunità con interessi comuni. L’analisi che qui vorrei fare, senza voler dare colpe a chicchessia, ma solo per dire come sono andate le cose, che poi hanno portato alla attuale situazione di stallo, vuole dimostrare perché oggi a Latina i latinensi sono latitanti, e non sono come i frusinati o i pescaresi, o i reggini. Si dirà subito che i latinensi sono gente venuta da fuori, con le loro tradizioni. Gente che è sempre stato difficile amalgamare. Però oggi vivono in città i nipoti di quelle persone venute da fuori, con le loro tradizioni. Possibile che anche costoro fatichino ad amalgamarsi tra loro. La causa secondo me va ricercata nello sviluppo urbanistico della città. Quando ero ragazzo, e parlo di quaranta cinquanta anni fa, il Giro di Peppe dove tutta Latina si riversava nel tardo pomeriggio per incontrarsi, grandi e piccini, stava cominciando a fare il miracolo di formare i cittadini insieme alla città. Ma la città ormai era diventata grande e nella circonvallazione cominciavamo a stare stretti. A quel punto, secondo logica sarebbe stato sufficiente allungare i viali già esistenti, tre per la precisione, Matteotti, Repubblica e Emanuele Filiberto. Munirli di negozi, uffici, abitazioni, con traverse altrettanto importanti ed alberate, piazze e piazzette che la gente avrebbe potuto frequentare per conoscersi, vedersi, parlarsi. Invece gli amministratori hanno preferito volare alto. Approvare un progetto, a dire il vero, bellissimo, originale e all’avanguardia per quei tempi, ma faraonico e difficile da realizzare da queste parti. A quei tempi Latina era piccolina e le casse del suo comune non credo fossero in grado di sostenere le spese enormi che una tale realizzazione avrebbe richiesto. Certo io lo dico col senno di poi, ma la cosa non doveva e non poteva sfuggire a politici ed economisti che hanno studiato per pianificare lo sviluppo del territorio. E’ vero ci fu anche la crisi di carattere mondiale che ridimensionò tutto, ma quel serpentone che lambendo la città nella zona nord e inglobando la famosa strada mare monti, si dirigeva zigzagando verso il mare, fu realizzato a spizzichi e bocconi, e pure male, stravolgendo il progetto originario, inserendo residenze là dove vi dovevano essere uffici, con due stradoni, diventate mulattiere, rimaste tronche fino a qualche anno fa a livello della 148. Quello che fu realizzato in conformità al progetto furono, per la gioia dei palazzinari, i quartieri residenziali, rimasti dormitorio fino a ieri, senza negozi e centri di aggregazione per la gente. Oggi poi vedono la luce, in un mare di polemiche, due dei grattacieli previsti dal piano regolatore. Da tempo, poi, ci si lamenta che Latina ha un numero enorme di centri commerciali. Ma, certo che, se ancora oggi abbiamo sempre e soltanto le solite tre vie di cui parlavo prima, come faceva la gente che doveva pur fare la spesa, visto che la città nuova non offriva possibilità per questa necessità. Ecco allora l’esigenza nata per sopperire alla mancanza cronica di zone di aggregazione come le piazze e le strade, il negozio sottocasa, gli uffici e le residenze mescolate insieme per dare ai cittadini momenti di vita in comune e di socializzazione. Quel processo che forse il giro di Peppe aveva iniziato è stato bloccato dai quartieri dormitorio, le varie Q da 1 a 5, dalla 148 che per anni ha spezzato in due la città nuova e dal serpentone con ai lati i viali Nervi e Le Corbusier, nato male e a fatica. I centri commerciali sappiamo che non aggregano nessuno e non sono come una bella piazza sotto casa con i bar, il traffico, gli uffici e i negozi, né come un viale alberato dove pulsa la vita della città. Un’ultima cosa, forse il bel centro direzionale dei famosi architetti andava progettato per una città già grande e con i cittadini già belli e fatti, non qui dove c’era ancora da fare i cittadini. L’alternativa sarebbe stata un comune in grado di realizzare quel progetto, così come era, nel giro di una decina di anni. Latina avrebbe avuto dei cittadini degni di questo nome, non come quelli di oggi che non hanno preoccupazioni né interessi comuni. Ognuno pensa sempre e soltanto ai casi propri e non viene minimamente toccato dai problemi di una città che annaspa nei meandri bassi delle classifiche.
La gente però è stata abituata a pensare alla realizzazione di grandi opere sbandierate ai quattro venti dai nostri amministratori. Oltre a terme porti e aeroporti, grande importanza hanno le strade che dovrebbero servire questa città che pochi conoscono, qualcuno non sa nemmeno che sia una provincia. e molti sanno solo che sta vicino Roma. Sono anni ormai che si discute se far una autostrada, su rimettere a posto la disastrata pontina, se fare una bretella che colleghi la città con l'autostrada.... e intanto non si fa nulla di nulla.
La viabilità della nostra provincia come tutti sanno, versa in condizioni pietose, e se, finalmente, qualcosa oggi comincia a stento a vedere la luce, si tratta di strade nate già vecchie perché progettate cinquanta anni fa, adatte per il traffico di allora. Mi riferisco alla nuova centocinquantasei che, bene o male, una decina di minuti li fa risparmiare rispetto al vecchio tacciato. Anche se, con traffico intenso, per raggiungere l’autostrada, il tempo sarà sempre quello, vista la presenza della strettoia prima del ponte sulla A1. Ma questo è un altro discorso. Finalmente sembra anche che, entro quest’anno si comincerà con il collegamento Latina Roma, ed è già tanto. Ma destra e sinistra già da tempo stanno litigando sulla bontà delle loro proposte. Anzi pare che ognuno rivendichi a sé l’idea che pare stia per essere realizzata. Storace ne aveva pensata una, Marrazzo ne ha pensata un’altra, e noi cittadini di Latina dobbiamo subire, non solo le non scelte dei nostri amministratori, ma anche le scelte sbagliate, ognuno per proprio conto, delle amministrazioni regionali, prima di destra e poi di sinistra. Mi spiego. Se si guardano bene le due proposte, tra le quali pare abbia avuto la meglio quella di Marrazzo, la prima quella di Storace, della quale la destra tanto si vanta ma che in tanti anni di governo non è riuscita a portare a termine, partiva da un presupposto interessante. Far proseguire il percorso proveniente da Livorno e Civitavecchia verso Latina e il sud pontino fino ai confini estremi meridionali con la Campania. Bella ed utile idea, certamente, ma il guaio, per la nostra provincia, stava nel fatto che si voleva creare una nuova super strada che si sarebbe incuneata tra Appia e Pontina. In uno spazio così esiguo, cioè, di nemmeno dieci chilometri. Non capisco perché non si poteva utilizzare il percorso di una delle due arterie, allargandone la sede. Capisco che le strade distruggono il territorio, ma se si continuano a costruire auto e camion, bisogna pur dare modo a questi veicoli di circolare. In questo caso, però, con tre importanti arterie in poco più di dieci chilometri, si sarebbe davvero esagerato. E allora, meno male che ci sono stati problemi di illegittimità della procedura usata da Storace per le gare d’appalto. Un buco nell’acqua, quindi della destra dopo tanti anni di governo. Oggi invece pare debba vedere la luce l’idea di Marrazzo, a cui non interessa creare continuità col percorso nazionale proveniente da Livorno. Semplicemente trasforma la Pontina in una autostrada, la quale, per i primi anni, almeno fino a che la viabilità a sud di Latina non verrà adeguata, vomiterà tanto di quel traffico verso Terracina che non si sa bene come verrà fatto defluire. Non solo, ma si dice che il progetto della Superpontina sarà tutt’uno con la bretella Cisterna Valmomtone. Una superstrada cioè a noi tanto utile, ma che in effetti viene costruita soprattutto per agevolare la Capitale. Mi sembra infatti che si stia progettando l’ultimo segmento di una viabilità che possa costituire un secondo anello di circonvallazione intorno a Roma, risultante dalla unione tra Fiumicino, Civitavecchia, Viterbo, Orte, Roma nord, Roma est, Valmontone, Cisterna, Fiumicino. Un raccordo esterno, non più anulare, ma dalla vaga forma triangolare, al cui centro pulsa l’attuale città di Roma, pensata apposta per poter abbracciare una vasta zona che, negli anni a venire, sarà interessata dallo sviluppo dell’area metropolitana della Capitale. Tutto nell’interesse accentratore di Roma caput mundi e fortemente penalizzante per noi che saremo sempre più suoi sudditi. Latina da sempre fatica a trovare una propria identità, e se la viabilità che ci daranno in futuro la intrappolerà in una rete che la legherà indissolubilmente con Roma facendone un satellite come già oggi Pomezia ed Aprilia, sarà finita, Saremo, anzi lo saranno i nostri figli che oggi sembrano disinteressarsi a questi problemi, dei romani di periferia, cioè dei burini. Naturalmente sarei ben lieto se queste fosche previsioni venissero smentite dai fatti. Si potrebbe obiettare, infatti, che l’essere legati a Roma ci potrebbe portare in cambio più servizi e tanti altri vantaggi. Ma, visto il degrado delle attuali periferie, è più facile credere il contrario. Questo per dire che in tanti anni non si è riusciti a dare al nostro territorio una viabilità capace di incanalare il traffico verso la rete nazionale, ed oggi si litiga sulla bontà di soluzioni raffazzonate e mal fatte oltre che mal pensate. Se solo si fosse tenuta per buona l’idea di Storace, evitando, però, di saccheggiare il territorio, ma allargando la Pontina o l’Appia, avremmo avuto un percorso più omogeneo da nord a sud. Insieme poi, alla bretella per Valmontone, avremmo potuto collegarci agevolmente con il resto del paese by-passando la ingombrante realtà romana. E già, sembra facile! Ma purtroppo in politica non esiste una soluzione giusta, o meglio sensata e logica. Gli avversari politici spesso sono in disaccordo tra loro per partito preso e, se uno dice bianco, l’altro deve per forza dire nero, magari a costo di arrampicarsi sugli specchi per cercare di trovare delle giustificazioni a quello che dice. Non c’è verso che si possa trovare un accordo prendendo il buono che ciascuno propone. E noi cittadini ne subiamo le conseguenze.
Palumbo Roberto
Latina 050109
C'è stato un tempo in cui il sindaco Vincenzo Zaccheo si era messo in testa di fare la metro, in effetti un tram di superficie che andasse dalla Stazione dei treni a quella delle autolinee per proseguire poi verso il lido. Un'opera utilissima ma troppo costosa e difficile da realizzare.
Caro Direttore, i cittadini di Latina stanno sfogliando, di nuovo, la classica margherita. Si fa o non si fa…la ormai famosa metro? Secondo me questa opera, come tutte le altre del resto, promesse e non fatte o mal fatte, è partita con il piede sbagliato. Penso, infatti che Latina non abbia bisogno di un tranvetto che, come in un film di Fellini si infila, tutto sferragliante, tra i palazzi del quartiere e porta scompiglio tra i tavolini dei bar. Se la immagina una doppia linea di tram che entra in corso Matteotti e prosegue per le vie del centro? Non oso nemmeno pensarci. Ma quelli di Fellini erano altri tempi. Oggi Latina si può dotare, in tempi brevissimi di una vera e propria metro di superficie. Penso alla famosa, e non ancora realizzata, “mare monti”, strada a scorrimento veloce che dovrebbe andare dalla stazione al mare. Perché non prevedere al centro, tra le due carreggiate, un ampio spazio dove far passare le due linnee della Metro, ogni tanto si potrebbero realizzare delle stazioni con relativo parcheggio di scambio, magari a più piani dove poter parcheggiare l’auto in tutta sicurezza e prendere così la metro che, in queste condizioni potrebbe viaggiare sicura e veloce, ed avere proprio le caratteristiche di una metropolitana. Accelerazione, decelerazione e una frequenza abbastanza ravvicinata dei passaggi. Gli esperti potrebbero fare i conti e verificare la convenienza, nei tempi di percorrenza, di una tale soluzione che mi sembra la più sensata. Non conosco quale sia il percorso di questa benedetta strada “Mare Monti”, ma qualunque esso sia, e certo non potrà passare per piazza del Popolo, la metro dovrà per forza correre al suo interno, come una linea al servizio, non solo della città, ma anche e soprattutto del territorio. E poi, azzarderei anche l’ipotesi di far scivolare questa metro sotto la città, dalla periferia est a quella ovest, per capirci, dalla Strada Congiunte destre, fino alla via Nascosa. Lo so, sembrerebbe un’opera faraonica. Ma, mi domando, perché queste opere quando devono essere fatte a Latina diventano sempre faraoniche? Faccio notare che il fior fiore delle città del sud, e non parlo di quelle ricche del nord, hanno costruito, già trenta quaranta anni fa, con l’aiuto dello Stato, sotterranee e sopraelevate da paura, che oggi ci permettono di raggiungere, in poco tempo, mete che negli anni sessanta sembrava fossero su un altro pianeta. Il problema è che il nostro povero territorio è stato dimenticato, da sempre, dal governo centrale, nonostante il potere politico dei nostri amministratori sia sempre stato uguale a quello del governo di Roma. Capisco che, al punto in cui siamo, nell’iter della realizzazione della metro, è difficile che si cambino le carte in tavola, ma, visti i precedenti, e soprattutto, visto che ancora sono tante le chiacchiere e pochissimi i fatti intorno a questa metro un po’ sui generis, è anche possibile che la realizzazione di questa opera sia ancora di la da venire. Giova allora fare oggi quel dibattito che, come al solito, non si è fatto a suo tempo. E’ indubbio che un collegamento veloce tra mare città e stazione sia necessario, e allora mi piacerebbe leggere, sulle pagine del suo giornale, anche altre proposte, invece delle solite critiche distruttive che riempiono le pagine dei giornali. E mi piacerebbe, ovviamente, sentire anche il suo parere. La saluto.
Roberto Palumbo
Latina 06 03 2010
Il dottor Pietro Antonelli, direttore
de Il Settimanale, giornale che fino allo scorso anno era in edicola ogni
settimana, e che mi ha visto tra coloro che ad esso inviavano delle lettere, ha
creduto bene di intitolare il mio spazio “Uno sguardo sulla nostra società” Per questo
lo ringrazio pubblicamente, segno che ha creduto in quello che modestamente
andavo dicendo settimanalmente, dal 2008 al 2014. Oggi, raccogliendo quelle lettere, mi
piacerebbe raccontare una storia. La storia del nostro tempo, quello che stiamo
vivendo e che passa così in fretta. La storia del paese in cui vivo e quella
della città in cui vivo.
La città in cui vivo
Non sono nato a Latina ma è come se lo fossi, ho sempre vissuto qui, e fin
da piccolo. Conosco bene la storia di questa città. Una storia fatta di
occasioni perse, di speranze inutili e di scarse realizzazioni. Una città che
ha conosciuto gli anni in cui era tutta racchiusa in una circonvallazione,
all’interno della quale si viveva come in un paese. Ha conosciuto poi numerose
servitù dello stato come il campo profughi, la nucleare il poligono di tiro
dell’esercito e tante altre realtà. Il mare a sei chilometri, i monti a nove
con la stazione ferroviaria per anni è come se non avesse avuto né l’uno né gli
altri, e lenta è stata la sua crescita. Una città giovanissima che vorrei
raccontare con le mie lettere scritte al settimanale e con altri scritti. Oggi,
dopo aver tanto sofferto per questa mia città, la quale andava perdendo ogni
treno che facesse finta di fermarsi alla stazione, mi sto facendo una ragione
per questa sua incapacità ad emergere pur essendo una provincia ed anche avendo
oggi un discreto numero di abitanti. Mi pare più di cento mila!!! Ma le età
delle città non si misurano in poche decine di anni, ma in centinaia, e forse
qui i politici hanno sempre pensato in grande rimanendo sempre con un pugno di
mosche in mano. Forse per ottenere la grande realizzazione (terme, bretelle,
raccordi, metro), bisognerebbe prima cercare di realizzare la città e i cittadini,
i quali a onor del vero, qui sono stati sempre carenti. Penso che la situazione
sia stata ben inquadrata dal mio racconto “La città che non c’è” scritto nel e
partecipante al concorso letterario" Ego racconto Latina" nell’anno del quale ha vinto il primo premio. Una
grande soddisfazione per me anche perché in esso non sonno stato affatto
gentile con gli amministratori. Eccolo di seguito prima di entrare nel vivo
delle lettere pubblicate.
La città che non c’è
Cammino per Latina, da solo, in uno
di quei pomeriggi assolati con il continuo ritornello delle cicale nelle
orecchie. Non si ferma un attimo. Le strade sono deserte. Le serrande dei
negozi sono tutte rigorosamente chiuse, anche quelle dei bar. La fontana di
Piazza del Popolo, quella vicino alla palla, rimane, da tempo immemorabile,
l’unica possibilità per dissetarsi in questa calura opprimente. La piazza si
crogiola al sole mentre lo sguardo si perde oltre le quinte dei portici di
marmo verso viali alberati, e lungo gli assi di questo ottagono pensato come
fosse al centro del mondo. Un mondo nuovo, là dove non c’era altro che una
tabula rasa. E si sa, sopra una tabula rasa si può fare tutto e il contrario di
tutto. So benissimo che basterebbero cinque dieci minuti di macchina per
raggiungere delle mete dove il cervello non corre il rischio di liquefarsi come
al centro di questa desolata e desolante calura. Il mare con le sue brezze
continue, le colline con la loro frescura, villa Fogliano. Ci vorrebbe un attimo.
L’orologio del campanile batte due soli rintocchi che sembrano perdersi lontani
e sciogliersi nel caldo opprimente della controra. Seduto sulla panchina,
davanti alla vasca desolatamente vuota osservo la palla, ferma, immobile,
granitica.
E mi ricordo che qualche tempo fa
qualcuno avrebbe voluto toglierla e sostituirla con non so che cosa. Ma come,
proprio quello che forse è l’unico simbolo di questa giovane città. Un mito per
noi giovani che abbiamo vissuto la Latina degli anni cinquanta quando eravamo
ancora ragazzini e venivamo qui a giocare per rincorrerci intorno alla vasca o
tra i vialetti delle aiuole. Le piantine erano nane, proprio come ora, il
lastricato fatto, proprio come ora, con quelle pietre bombate che ti
massaggiano le piante dei piedi. I piccioni ancora non c’erano, ma noi venivamo
lo stesso il sabato pomeriggio o la domenica pomeriggio, col vestito della
festa per rincorrerci sotto l’occhio vigile dei genitori, prima di andare verso
il polo nord per il gelato di rito. Altro mito di questa città. E forse, a
pensarci bene, ci siamo portati dietro, mi riferisco a quelli poco più che
cinquantenni, non pochi miti e qualche sia pur minima tradizione. Roba da poco,
è vero, ma era comunque un inizio. E la sensazione è che, dopo quel timido inizio,
tutto si sia fermato, come imbalsamato o per lo meno oppresso da questa calura.
Sembra che le generazioni successive si siano dissolte e non abbiano più avuto
la voglia, la capacità o la possibilità di stare insieme alla propria città, di
viverla, di farla propria. Ma sarà stata proprio colpa loro?
Il mio sguardo si posa all’improvviso
su qualcosa che mi distoglie dai pensieri che stavano per portarmi lontano,
verso una strada senza ritorno, una strada molto lunga, e una storia
altrettanto lunga e complicata sulla quale ci sarebbe da scrivere un romanzo, o
un poema. Il mio sguardo, dicevo, va a posarsi su quei palazzi così estranei
alla piazza stessa, concepita per essere il simbolo della città,
così alti, brutti, anonimi e senza significato che turbano la vista dalla piazza, mi sembrano un pugno nello stomaco e una offesa alla città tutta. A due passi da lì, uno di essi ha addirittura la facciata ancora grezza. Sono palazzi che nulla hanno a che fare con la mia giovane città e forse sono lo spartiacque tra la prima cittadina che stava a stento cercando il motivo della sua esistenza e quella città successiva che è riuscita a bloccare questo processo grazie alla dissennata e insensata voglia di mettere le mani sopra questo territorio ancora vergine da parte di gente senza scrupoli, o per lo meno, incapace di pianificarne la crescita e lo sviluppo. Eppure, come ho detto qui non c’era altro che una tabula rasa. Me ne vado ancora più desolato, per la paura che il caldo potesse liquefare anche i miei pensieri.
così alti, brutti, anonimi e senza significato che turbano la vista dalla piazza, mi sembrano un pugno nello stomaco e una offesa alla città tutta. A due passi da lì, uno di essi ha addirittura la facciata ancora grezza. Sono palazzi che nulla hanno a che fare con la mia giovane città e forse sono lo spartiacque tra la prima cittadina che stava a stento cercando il motivo della sua esistenza e quella città successiva che è riuscita a bloccare questo processo grazie alla dissennata e insensata voglia di mettere le mani sopra questo territorio ancora vergine da parte di gente senza scrupoli, o per lo meno, incapace di pianificarne la crescita e lo sviluppo. Eppure, come ho detto qui non c’era altro che una tabula rasa. Me ne vado ancora più desolato, per la paura che il caldo potesse liquefare anche i miei pensieri.
La sera, comodamente seduto al mio
tavolo di lavoro, ripenso alla calura del pomeriggio in Piazza del Popolo e
riordino i miei pensieri. Ripenso al perché questa città si sia come fermata,
mentre il mondo proseguiva la sua corsa. Per anni Latina è rimasta città a
misura d’uomo, mentre fuori la vita andava avanti, nel bene e nel male. Una
forma di apatia ha ricoperto uomini e cose. Un’aria ovattata, quasi immobile e
stagnante ha come imbrigliato per anni i pensieri e le coscienze, mentre le
esperienze di noi universitari a Roma ci portavano a contatto con i cambiamenti
e le trasformazioni della società. Evidentemente in quegli anni, una volta
iniziato l’assalto al territorio, pur con il tentativo di dare ad esso una
regolamentazione attraverso il piano regolatore degli anni settanta, si deve
essere esaurito quel processo di
aggregazione che gli anni cinquanta e sessanta stavano operando su noi giovani.
Chi doveva dare ai cittadini nuovi strumenti urbanistici per una città che
tuttavia stava conoscendo una crescita in termini demografici, non seppe, o non
volle, o non potè pianificare e programmare uno sviluppo idoneo alla crescita
dei cittadini e capace di stimolare le coscienze. Sul piano pratico la nuova
città fu carente di quelle strutture capaci di aggregare persone e di formare i
cittadini.
Nel tentativo di approfondire questo
concetto ricordo di aver letto da qualche parte che la città è un fatto di
cittadini e non un fatto di politici e architetti, ed è insieme ai cittadini
che essi debbono creare le condizioni ottimali perchè tutti possano essere,
nella città, protagonisti responsabili (i politici) e debbono saper parlare e
capire la lingua della città (gli architetti). A Latina questa simbiosi tra
cittadini, politici e architetti è mancata. A mio parere perché questi ultimi
non hanno saputo dare ai cittadini qualcosa per cui valesse la pena spendere la
propria esistenza e da cui sentirsi rappresentati. Si perché, se è vero che la
città la fanno i cittadini, è anche vero che politici e architetti debbono
dotare i cittadini di strumenti validi per vivere la propria città. Quello che
è successo a Latina, da quando il primo nucleo centrale esaurì la propria
funzione aggregante, è indicativo di questa mancata simbiosi tra cittadini,
politici e architetti, e sta alla base del fatto che oggi viviamo una città che
è difficile da definire. Una città in cui è difficile riconoscersi e da cui è
difficile sentirsi rappresentati, priva come è di punti di riferimento, o
meglio, rimasti pressocchè quelli degli anni sessanta.
Vorrei cercare di capire e di
spiegare a me stesso il perché di tutto ciò, e allora parto da lontano,
scavando nella memoria. C’era una
volta….il giro di Peppe. A Latina. Quando Latina era ancora poco più che un grosso
paese. Una cittadina tutta delimitata dalla circonvallazione, con le sue belle
strade, ampie, alberate, i suoi bei palazzi, senza storia ma decorosi, le sue
piazze, i suoi edifici pubblici, le aiuole ben curate. Il giro di Peppe era il
cosiddetto “centro di aggregazione”. Un giro di marciapiedi intorno ad un
isolato di palazzi, con diversi negozi, bar, pasticcerie, alimentari,
abbigliamento, persino un grosso supermercato. Poco lontano il mercato coperto,
due cinema ed altri servizi per la gente, anagrafe, prefettura, questura e così
via. Un punto di aggregazione dove gli abitanti potevano incontrarsi, parlare
tra loro, passeggiare la sera prima di cena o la domenica mattina, favorendo la
formazione di idee comuni per dare corpo all’idea di cittadini e quindi a
quella di città.
La cosa non era comunque semplice e
avrebbe richiesto un lungo periodo di tempo. Perché la giovane Latina non era
una città come tutte le altre. Perché si trattava di mettere insieme gente
venuta da altrove e trapiantata qui. Gente che aveva portato con sé la propria
cultura, le proprie tradizioni, che, naturalmente, avrebbe trasmesso ai propri
figli nati in terra pontina. Ormai la storia la sanno tutti. A quel tempo solo
i minorenni potevano dire di essere nati a Latina. I giovani e gli adulti erano
tutti nati altrove. Non era quindi facile che si realizzasse quel processo di
aggregazione tra persone con diverse culture e con usanze diverse. E certo non
potè realizzarsi in quegli anni in cui la città era tutta racchiusa all’interno
della circonvallazione. Ancora molti anni sarebbero stati necessari.
Latina crebbe con velocità
sorprendente e presto si sentì la necessità di darle la possibilità di un nuovo
sviluppo, oltre il guscio della circonvallazione. Me nel realizzare questo
sviluppo più ampio, per poter soddisfare l’incremento demografico che avveniva
un po’ ovunque, si sarebbe dovuto tener conto di questa realtà locale del tutto
particolare. Latina non era un paese piccolo al quale dare uno sviluppo diverso
da quello tutto raccolto intorno ad un centro, come era stato fino ad allora.
Qui c’era la città, ma bisognava ancora fare i cittadini. Solo essi avrebbero
potuto rafforzare ulteriormente l’idea della città nella quale vivevano. Forse,
ma nessuno potrà mai dimostrarlo, quell’unico piccolo centro di aggregazione
stava già operando in questo senso, e penso che nel progettare il futuro
sviluppo della città si sarebbe dovuto favorire questo processo, magari creando
poco lontano altri centri d’aggregazione. Mi spiego, forse altri “giri di
Peppe” o altre piazze avrebbero potuto essere ritrovo dei futuri cittadini di
Latina. Immagino una città che si espandeva a macchia d’olio nel territorio
immediatamente circostante alla circonvallazione. Un tessuto urbano senza
soluzione di continuità dove sarebbe stato facile spostarsi e interagire per
gli abitanti dei vari quartieri. Si preferì invece porre in essere un
megaprogetto, fatto di idee all’avanguardia, ma che, a mio modesto parere,
aveva due grossi difetti. Primo era difficile da realizzare per una città come
la Latina di allora; avrebbe richiesto enormi spese e tanto tempo. E di tempo
infatti ne è passato tantissimo senza che una minima parte di quel progetto sia
stata realizzata. Certo quel centro lineare di servizi avrebbe avuto una grande
capacità di aggregazione, se fosse stata realizzata come da progetto, ma la sua
realizzazione avrebbe richiesto tanto tempo. Per contro i cittadini avevano
bisogno di altri centri di aggregazione realizzabili in tempi brevi, per
completare quel processo necessario per proseguire quel processo di formazione
come appartenenti ad una città nuova. E infatti ancora oggi stiamo aspettando
che quel centro lineare di servizi venga completato. Un fatto comunque è certo,
che non sarà mai più realizzato così come era stato progettato.
E’ vero che c’è stata la crisi e i
progetti si sono ridimensionati, ma indubbiamente l’opera era troppo faraonica.
Anche su questo fatto della crisi intervenuta durante gli anni settanta ci
sarebbe da eccepire. Si perché una crisi non può essere una scusante, tale da
giustificare la mancata o la alterata realizzazione di un tale progetto.
Infatti la crisi, che poi fu di portata mondiale, doveva e poteva essere
prevista. E doveva essere uno dei parametri di cui tenere conto nella adozione
di un progetto di sviluppo della città. Secondo difetto è stato quello di aver
diviso la residenza dal centro di servizi, per intenderci le case abitate dai
negozi e dagli uffici. L’idea certamente è validissima e non sarò certo io a
dirlo, ma penso che una operazione del genere si poteva fare e si può fare in
quelle città in cui il processo di aggregazione dei cittadini sia già
completato. Dove cioè esistono già dei cittadini e l’idea di città sia già
formata.
Questa separazione tra le due
funzioni della città, ha portato alla realizzazione di veri e propri quartieri
dormitorio. Infatti la realizzazione delle residenze è andata avanti spedita e
comunque non di pari passo con quella dei servizi. Questo perchè la costruzione
di case per abitazioni è più appetibile per amministratori, progettisti, impresari e per tutti coloro che ruotano
intorno a questo business. La creazione di questi nuovi quartieri ha calamitato
gli abitanti del centro storico che è andato progressivamente svuotandosi.
Parallelamente il centro lineare di servizi ha segnato il passo, sia perché
mancò la volontà politica di realizzarvi grosse opere ed edifici pubblici nuovi
in quelle aree, sia perché mancò la richiesta da parte di quegli uffici
pubblici di spostarsi nel centro direzionale.
E’ curioso appena ricordare come
qualcuno dei responsabili di uffici che si voleva portare in quel nuovo centro,
ebbe a dire di non volersi spostare dal centro storico perchè il nuovo posto
dove sarebbero sorti gli uffici, sarebbe stato troppo lontano. Ma dico io, e
allora nessuno lo disse, lontano da che? lontano da chi? lontano da cosa? Forse
dalla palla di piazza del Popolo? Si è persa insomma una occasione per creare
lì la nuova città. E penso che i politici avrebbero dovuto spingere in questa
direzione. Invece niente. Quel verme centrale si è riempito anch’esso di
abitazioni, e per giunta di scarsa qualità.
Mi domando allora, in queste
condizioni, con la gente fuori dal centro storico e le residenze sparse nel
territorio, i centri di aggregazione in parte realizzati, in parte ancora di là
da venire, come si sarebbe potuto formare quell’amalgama necessario alla
formazione di una cultura cittadina,di una identità comune, di una idea comune
di città? A qualcuno sembra che oggi, con la costruzione dei nuovi centri
commerciali si stiano dando finalmente
quei tanto sospirati centri di aggregazione. In parte può essere vero, ma in
questi che gli esperti definiscono “non luoghi” si resta sempre lontani
dall’idea di città, perché comunque essi non caratterizzano la città stessa e
sono uguali ovunque. Ben vengano quindi i centri commerciali, ma in quelle
città che già sono nettamente connotate e i cui abitanti siano già dei
cittadini nel vero senso della parola. Sarebbero dei punti di ritrovo in più.
Ma non si può certo dire che piazza del Seminatore sia una piazza di Latina.
Come altre piazze dei centri commerciali è una piazza artificiale che non potrà
mai caratterizzare la città.Eppure oggi a Latina si discute molto su questo
abnorme fiorire di centri commerciali. Pare addirittura che la nostra città sia
ai primi posti in Italia per la presenza di questi centri in base al numero
degli abitanti. Penso che ciò avvenga a causa del tipo di sviluppo che in alta
sede si decise di dare, a suo tempo, alla città. Non si privilegiò infatti uno
sviluppo molto più normale e più facilmente realizzabile. Oggi infatti alla
nostra città mancano le strade fiancheggiate da attività commerciali e dagli
uffici. Corso della Repubblica, Corso Matteotti e Via Emanuele Filiberto più
qualche altra strada del quartiere Isonzo e del quartiere Tribunale, non
possono soddisfare la richiesta della popolazione in termini di servizi
commerciali. E così il tipo di sviluppo che la città ha vissuto in questi
ultimi anni ha fatto si che solo la grande distribuzione nelle aree ancora
libere potesse soddisfare questa richiesta.
Ciò forse sarebbe successo in misura
minore se, a suo tempo, si fosse deciso di dare alla città uno sviluppo più che
normale: i soliti viali che si incrociano in ampie piazze, ai lati edifici con
negozi uffici ed abitazioni. Tutto questo possibile e semplice sviluppo è stato
sacrificato sull’altare di una idea di città nuova difficile da realizzare da
queste parti e che comunque avrebbe richiesto molto tempo per essere
realizzata. E infatti oggi è sotto gli occhi di tutti la frammentazione del
tessuto urbano, tra residenza, servizi, centro storico e grande distribuzione
che sembrano deposti a caso sul territorio senza un disegno unitario, né un
senso comune.
Per questo penso sia difficile che
oggi qualcuno possa passeggiare per le strade della città nuova, che so, viale
Paganini o via Bruxelles, provando quella sensazione che ho provato io, nel
pomeriggio, in Piazza del Popolo. Quella sensazione cioè, piacevole e
nostalgica al tempo stesso, di identità, di appartenenza ad un luogo. Quella
sensazione cioè che ti fa sentire come fossi proprio a casa tua. In fondo
quella piazza, insieme a quel giro serale, stava facendo la funzione per la
quale era stata progettata.
Non altrettanto penso abbia fatto la
città nuova, frammentaria, incompleta e senza identità. Senza piazze senza
nuovi punti di aggregazione, senza quei bei viali alberati fiancheggiati da
negozi, che altre città possono vantare, dove si passeggia, si conosce la
gente, dove si parla, camminando o seduti ai tavoli di un caffè, dove ammirare
le vetrine o fare la spesa. Per anni Latina è rimasta ancorata al suo centro
che nel frattempo si andava svuotando di tante funzioni per acquisire un
aspetto sempre più spettrale e popolato di fantasmi. E più la residenza in
periferia rubava spazio alla campagna e agli eucalipti, più il centro perdeva
la sua linfa vitale, in preda ad una emorragia inarrestabile. Ma a questa
inesorabile perdita di funzioni del centro non corrispondeva una adeguata
risposta alle esigenze di una popolazione in crescita, come sarebbe stato
logico.
E così oggi i giovani di Latina dove
si incontrano? Negli stessi posti in cui ci incontravamo noi quaranta e trenta
anni fa, il Polo, Piazza S. Marco, il Giro di Peppe. Partono dal Nascosa o da altri
quartieri periferici e vanno a popolare quei portici e quei viali rimasti da
soli a soddisfare le loro esigenze di socializzazione, salvo poi abbandonarli
alla stessa ora in cui li abbandonavamo noi. Uniche differenze: il mezzo di
trasporto passato dalle scarpe al motorino, e il fatto che la sera noi tornavamo, il più delle volte, a
casa, loro invece sciamano nei Pub, nelle Pizzerie e nei locali. La vita, e con
essa le generazioni, è cambiata. Ma Latina è rimasta sostanzialmente la stessa.
Come figlio di questa città, anche se
adottivo, ho spesso riflettuto, con un sentimento misto di rabbia, delusione e
rassegnazione sull’incapacità storica di chi per decenni ha retto le fila dello
sviluppo di questa città. Incapacità di politici che oggi possono dire di aver
creato una città che non c’è, che non esiste, perché non esistono i suoi
cittadini. Incapacità di architetti che hanno creduto di poter esercitare la
loro infinita scienza urbanistica e di poter applicare le loro
rispettabilissime idee sulla città del futuro in un posto sbagliato.
Lo dico, è vero, col senno di poi. Ma
non sono né politico e né architetto, sono un semplice cittadino ormai
rassegnato e deluso, ancorché arrabbiato per lo stato di abbandono in cui versa
la propria città. Stato che si evidenzia ancora di più ogni volta che torno
dall’aver visitato un’altra città. E non parlo di metropoli, parlo di città
come Matera, L’Aquila, Benevento, Perugia, Arezzo. Città con la loro storia, è
vero. Ma penso che è ora di finirla con la storia della Storia. Latina ha ormai
parecchi decenni. Di storia e di storie ne ha da raccontare tante, basta solo
saperle dire e fare in modo che le sue strade, le sue piazze, le sue mura, le
raccontino.
La memoria del passato si crea
operando nel presente per un futuro degno di essere vissuto. Ma di ciò non si è
tenuto conto da parte di chi doveva farlo. E per questo che, a parte quanto di
bello e di buono questo territorio può mettere in mostra e può raccontare del
suo passato più lontano, di quello recente, purtroppo, le uniche cose (o quasi)
che si possono dire, sono quelle che ho detto fino ad ora e che ho voluto
provare a ripetere in versi, nella speranza di essere più esauriente.
C’era una volta una città. Una città
che oggi non c’è. E c’erano una volta dei cittadini scappati, o fatti fuggire
oltre le mura invisibili della circonvallazione e dispersi nella piana. Oggi
quei cittadini sono in cerca, e chissà per quanto ancora lo saranno, di una
loro identità, di un luogo al quale sentirsi legati, per non continuare a
vagare come fantasmi dentro le mura di un centro storico vuoto e
spettrale.
E la storia allora può iniziare con una favola..........
Il gigante e la bambina
C’era
una volta una vecchia signora. Aveva più di duemila anni e tutti la chiamavano
Mammaroma. Non era vecchia decrepita e suoi anni se li portava ancora bene.
Passava infatti la maggior parte del suo tempo a imbellettarsi e a curare la
sua pelle che non aveva ancora rughe. Spesso si recava nelle beauty farm da
dove usciva rigenerata e ancora più bella, Solo in alcuni momenti di
depressione, rari per la verità, si lasciava andare e mostrava
inequivocabilmente i suoi anni. Aveva una figlia, una bimba ancora piccolina di
soli settanta anni che si chiamava Latina. L’aveva avuta, non si sa come, quando
era già in menopausa durante una storia con un certo Benito, un uomo forte e
muscoloso venuto da fuori che si stabilì vicino a lei, e con lei visse per soli
vent’anni. Una storia molto breve, ma piena di passione. Mammaroma non si era
mai sposata ma aveva avuto solo dei rapporti fugaci e non aveva avuto mai
figli, non si sa se per scelta sua o dei suoi uomini. Solo Benito ci riuscì. Il
rapporto con Benito fu l’ultimo ma più intenso, anche se reso più complicato,
come del resto avveniva da duemila anni, dalla vicinanza con la famiglia Papato
che spesso si impicciava dei fatti suoi e le creava un mucchio di problemi.
Dopo vent’anni di convivenza, durante i quali mammaroma divenne ancora più
bella, Benito, che dapprima era molto ben voluto, fu ucciso da alcuni
facinorosi perchè, dicevano, aveva tirato troppo la corda e pretendeva troppo
da Mammaroma. Ma forse una sua colpa era anche quella di volere troppo bene a
sua figlia Latina. Mammaroma, invece non voleva molto bene a questa sua figlia
avuta, no si sa come, quando era già in menopausa. Latina cresceva ed era una
bella bambina, ma la madre molto spesso non se ne curava.
La natura era stata prodiga con lei, ma le sue naturali bellezze non venivano valorizzate dalla mamma, tutta presa a valorizzare le sue. La mamma infatti pensava solo ai profumi e le creme per il suo viso. Di balocchi per la sua figlia, nemmeno l’ombra. Spesso la vestiva di stracci e l’abbandonava per strada costringendola a chiedere l’elemosina. E lei piangeva, anche se voleva bene alla sua mamma. Latina, durante la sua vita, conobbe alcuni ragazzi, che dissero di avere buoni propositi e che avrebbero fatto di tutto per toglierla dalle grinfie della mamma cattiva, ma poi anche loro caddero nella trappola. La sudditanza con Mammaroma, l’incapacità di fare il loro dovere e le continue risse degli amici della bambina, ebbero come unico risultato quello di impedire una crescita sana ed equilibrata di Latina che entrava spesso in depressione e rimase piccola, con gravi problemi di crescita. La bimba però aveva un viso meraviglioso e, pur se piccolina, era ben proporzionata. Alla ancora tenera età di settanta anni era molto bella ed era molto desiderata, checché ne pensasse la mamma. Nell’epoca del villaggio globale, quando le notizie facevano il giro del mondo, in un baleno grazie ad internet, si sparse la voce della esistenza di questa bella ma sfortunata bambina figlia di una mamma tanto cattiva con lei. Di lei si seppe in tutti e cinque i continenti, ma soprattutto nel paese dei Lillipuziani dove ormai da tempo si era stabilito Gulliver il gigante. Gulliver ormai viveva da tempo con i suoi piccoli amici. Era tranquillo, ma un poco annoiato e i suoi piccoli erano da tempo preoccupati. Quando venero a sapere della storia di Latina lo fecero presente al Gigante e gli dissero in coro: “Gigaaanteee…pensaci tuuuu” Fu così che Gulliver il gigante parti per la missione più importante della sua vita. Partì, con il suo veliero, attraversò l’oceano ed entrò nel Mediterraneo. Passatala Sardegna , Intravide da
lontano con il suo potente cannocchiale la torrepontina, la più alta del
mezzogiorno, ma ebbe la sgradita sorpresa di non poter attraccare, con il suo
veliero, da nessuna parte. Sapeva, dalle carte nautiche, della esistenza di un
mega porto, ma non era ancora realtà, era solo fantasia. Allora non ci pensò
due volte, gettò l’ancora al largo e proseguì a nuoto. Poverino, pensava che
una folla sterminata fosse in attesa del suo arrivo, invece lo accolse una
spiaggia desolata di inizio estate sulla quale vide, sdraiata sotto un sole
cocente, una ragazza in bikini. Il gigante le si avvicinò e disse “Sono il
gigante e sono venuto per conoscere Latina, mi sa dire dove posso trovarla?” La
ragazza, una bellissima ragazza, mora occhi verdi, lo guardò da capo a piedi,
sorrise di un sorriso dolcissimo e disse: “Sono io, ti aspettavo”. Latina si
sollevò sulle punte lo abbracciò e si baciarono. E vissero felici e contenti.
La natura era stata prodiga con lei, ma le sue naturali bellezze non venivano valorizzate dalla mamma, tutta presa a valorizzare le sue. La mamma infatti pensava solo ai profumi e le creme per il suo viso. Di balocchi per la sua figlia, nemmeno l’ombra. Spesso la vestiva di stracci e l’abbandonava per strada costringendola a chiedere l’elemosina. E lei piangeva, anche se voleva bene alla sua mamma. Latina, durante la sua vita, conobbe alcuni ragazzi, che dissero di avere buoni propositi e che avrebbero fatto di tutto per toglierla dalle grinfie della mamma cattiva, ma poi anche loro caddero nella trappola. La sudditanza con Mammaroma, l’incapacità di fare il loro dovere e le continue risse degli amici della bambina, ebbero come unico risultato quello di impedire una crescita sana ed equilibrata di Latina che entrava spesso in depressione e rimase piccola, con gravi problemi di crescita. La bimba però aveva un viso meraviglioso e, pur se piccolina, era ben proporzionata. Alla ancora tenera età di settanta anni era molto bella ed era molto desiderata, checché ne pensasse la mamma. Nell’epoca del villaggio globale, quando le notizie facevano il giro del mondo, in un baleno grazie ad internet, si sparse la voce della esistenza di questa bella ma sfortunata bambina figlia di una mamma tanto cattiva con lei. Di lei si seppe in tutti e cinque i continenti, ma soprattutto nel paese dei Lillipuziani dove ormai da tempo si era stabilito Gulliver il gigante. Gulliver ormai viveva da tempo con i suoi piccoli amici. Era tranquillo, ma un poco annoiato e i suoi piccoli erano da tempo preoccupati. Quando venero a sapere della storia di Latina lo fecero presente al Gigante e gli dissero in coro: “Gigaaanteee…pensaci tuuuu” Fu così che Gulliver il gigante parti per la missione più importante della sua vita. Partì, con il suo veliero, attraversò l’oceano ed entrò nel Mediterraneo. Passata
Roberto Palumbo
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Ma purtroppo questa non è una favola e se ci sarà un lieto fine lo diranno i posteri. Molto probabilmente è presto per poter avere per la nostra città tutto quello che i cittadini desiderano. Il mio pensiero modesto è che nel tempo, fino ad ora, ci siamo interessati troppo e spesso a faraonici progetti che potessero cambiare il volto della nostra città. in effetti era sufficiente, in questi primi anni, renderla più attraente, più bella ed appetibile con interventi più di facciata, per darle più importanza e renderla una città bella da andare a vedere e curiosare tra le sue piazze metafisiche. Solo dopo si sarebbero potuto realizzare dei collegamenti stradali degni di questo nome e che ancora oggi non abbiamo. Solo dopo si sarebbe potuto pensare alle terme, ai porti, agli aeroporti che oggi nemmeno ci sono nemmeno nella fantasia. Ma comunque la prima operazione necessaria per fare una città è quella di fare i cittadini.
Dove sono i latinensi?
Forse perché la stazione di Latina fa un po’ pena, pur con la sua architettura originale e caratteristica di un certo periodo, ed è sempre più difficile farne uso, forse è per questo che Latina ormai ha perso tutti i treni che di lì sono passati e che, per la verità hanno fatto finta di fermarsi, ma poi sono ripartiti a razzo. Fuori metafora, le terme, l’aeroporto, tutti i progetti tesi a far decollare il Turismo, la metro, pardon il tranvetto, la nuova pontina o corridoio tirrenico che sia, le varie bretelle, e forse ora il porto, sono altrettanti treni che hanno fatto solo finta di fermarsi al nostro scalo ferroviario. Ma forse era necessario prenderli al volo. Le uniche due cose che stiamo vedendo sono l’intermodale che funziona a singhiozzo e ancora non si sa che futuro avrà, e la nuova 156, una strada stile anni cinquanta, che nemmeno a Campobasso e nel profondo sud, con tutto il rispetto, ce l’hanno più, o se ce l’hanno è da cinquanta anni. Degli amministratori che si sono susseguiti al governo della nostra città le abbiamo dette tutte, della loro incapacità a farsi ascoltare dai politici in sede centrale, pur essendo quasi sempre dello stesso colore. Mi sembra quindi ripetitivo stare di nuovo a recriminare su quello che essi non hanno fatto per la loro e la nostra città. Ma, e qui sta la novità, se essi sono quel che sono, semplicemente lo sono perchè anche la gente in mezzo alla quale sono stati scelti, è fatta della stessa pasta. Mi spiego. Che la città di Latina abbia perso tutti questi treni importanti, e ne stia per perdere altri, non è che alla gente comune interessi poi tanto. Se solo pensiamo all’ultimo scippo che ci hanno fatto, quello dell’aeroporto, penso che se fosse successo altrove sarebbe successo il finimondo, forse una sollevazione popolare. Qui, invece una scrollata di spalle e via. Intendiamoci, non è che stia invocando le rivolte popolari che altrove hanno portato intere popolazioni a rivendicare i propri diritti, ma penso che se la gente di Latina, tutta insieme, avesse fatto sentire la propria voce di protesta e di richiesta, i nostri politici, forse, pungolati a dovere, avrebbero fatto sentire di più la loro voce e avrebbero ottenuto qualcosa di più. Quello che manca quindi qui a Latina è la gente. La gente unita e coesa, capace di farsi sentire per difendere i propri diritti. E’ vero che Latina è una città giovane, ma, anche se gli ottanta verso cui sta viaggiando, non sono gran che per una città, qui esiste già gente, nata, cresciuta, e che si sta facendo vecchia in questa terra pontina. Una città giovane e piena di giovani, famosa per le belle ragazze e per una bella gioventù in genere, per gente importante in diversi campi, con qualche straccio di tradizione, anche se appena abbozzata Una città però che stenta a formare un abbozzo di comunità con interessi comuni. L’analisi che qui vorrei fare, senza voler dare colpe a chicchessia, ma solo per dire come sono andate le cose, che poi hanno portato alla attuale situazione di stallo, vuole dimostrare perché oggi a Latina i latinensi sono latitanti, e non sono come i frusinati o i pescaresi, o i reggini. Si dirà subito che i latinensi sono gente venuta da fuori, con le loro tradizioni. Gente che è sempre stato difficile amalgamare. Però oggi vivono in città i nipoti di quelle persone venute da fuori, con le loro tradizioni. Possibile che anche costoro fatichino ad amalgamarsi tra loro. La causa secondo me va ricercata nello sviluppo urbanistico della città. Quando ero ragazzo, e parlo di quaranta cinquanta anni fa, il Giro di Peppe dove tutta Latina si riversava nel tardo pomeriggio per incontrarsi, grandi e piccini, stava cominciando a fare il miracolo di formare i cittadini insieme alla città. Ma la città ormai era diventata grande e nella circonvallazione cominciavamo a stare stretti. A quel punto, secondo logica sarebbe stato sufficiente allungare i viali già esistenti, tre per la precisione, Matteotti, Repubblica e Emanuele Filiberto. Munirli di negozi, uffici, abitazioni, con traverse altrettanto importanti ed alberate, piazze e piazzette che la gente avrebbe potuto frequentare per conoscersi, vedersi, parlarsi. Invece gli amministratori hanno preferito volare alto. Approvare un progetto, a dire il vero, bellissimo, originale e all’avanguardia per quei tempi, ma faraonico e difficile da realizzare da queste parti. A quei tempi Latina era piccolina e le casse del suo comune non credo fossero in grado di sostenere le spese enormi che una tale realizzazione avrebbe richiesto. Certo io lo dico col senno di poi, ma la cosa non doveva e non poteva sfuggire a politici ed economisti che hanno studiato per pianificare lo sviluppo del territorio. E’ vero ci fu anche la crisi di carattere mondiale che ridimensionò tutto, ma quel serpentone che lambendo la città nella zona nord e inglobando la famosa strada mare monti, si dirigeva zigzagando verso il mare, fu realizzato a spizzichi e bocconi, e pure male, stravolgendo il progetto originario, inserendo residenze là dove vi dovevano essere uffici, con due stradoni, diventate mulattiere, rimaste tronche fino a qualche anno fa a livello della 148. Quello che fu realizzato in conformità al progetto furono, per la gioia dei palazzinari, i quartieri residenziali, rimasti dormitorio fino a ieri, senza negozi e centri di aggregazione per la gente. Oggi poi vedono la luce, in un mare di polemiche, due dei grattacieli previsti dal piano regolatore. Da tempo, poi, ci si lamenta che Latina ha un numero enorme di centri commerciali. Ma, certo che, se ancora oggi abbiamo sempre e soltanto le solite tre vie di cui parlavo prima, come faceva la gente che doveva pur fare la spesa, visto che la città nuova non offriva possibilità per questa necessità. Ecco allora l’esigenza nata per sopperire alla mancanza cronica di zone di aggregazione come le piazze e le strade, il negozio sottocasa, gli uffici e le residenze mescolate insieme per dare ai cittadini momenti di vita in comune e di socializzazione. Quel processo che forse il giro di Peppe aveva iniziato è stato bloccato dai quartieri dormitorio, le varie Q da 1 a 5, dalla 148 che per anni ha spezzato in due la città nuova e dal serpentone con ai lati i viali Nervi e Le Corbusier, nato male e a fatica. I centri commerciali sappiamo che non aggregano nessuno e non sono come una bella piazza sotto casa con i bar, il traffico, gli uffici e i negozi, né come un viale alberato dove pulsa la vita della città. Un’ultima cosa, forse il bel centro direzionale dei famosi architetti andava progettato per una città già grande e con i cittadini già belli e fatti, non qui dove c’era ancora da fare i cittadini. L’alternativa sarebbe stata un comune in grado di realizzare quel progetto, così come era, nel giro di una decina di anni. Latina avrebbe avuto dei cittadini degni di questo nome, non come quelli di oggi che non hanno preoccupazioni né interessi comuni. Ognuno pensa sempre e soltanto ai casi propri e non viene minimamente toccato dai problemi di una città che annaspa nei meandri bassi delle classifiche.
Roberto Palumbo
Latina 24 09 2008La gente però è stata abituata a pensare alla realizzazione di grandi opere sbandierate ai quattro venti dai nostri amministratori. Oltre a terme porti e aeroporti, grande importanza hanno le strade che dovrebbero servire questa città che pochi conoscono, qualcuno non sa nemmeno che sia una provincia. e molti sanno solo che sta vicino Roma. Sono anni ormai che si discute se far una autostrada, su rimettere a posto la disastrata pontina, se fare una bretella che colleghi la città con l'autostrada.... e intanto non si fa nulla di nulla.
Bretelle corridoi e raccordi
Palumbo Roberto
Latina 050109
C'è stato un tempo in cui il sindaco Vincenzo Zaccheo si era messo in testa di fare la metro, in effetti un tram di superficie che andasse dalla Stazione dei treni a quella delle autolinee per proseguire poi verso il lido. Un'opera utilissima ma troppo costosa e difficile da realizzare.
Tranvetto o metro
Caro Direttore, i cittadini di Latina stanno sfogliando, di nuovo, la classica margherita. Si fa o non si fa…la ormai famosa metro? Secondo me questa opera, come tutte le altre del resto, promesse e non fatte o mal fatte, è partita con il piede sbagliato. Penso, infatti che Latina non abbia bisogno di un tranvetto che, come in un film di Fellini si infila, tutto sferragliante, tra i palazzi del quartiere e porta scompiglio tra i tavolini dei bar. Se la immagina una doppia linea di tram che entra in corso Matteotti e prosegue per le vie del centro? Non oso nemmeno pensarci. Ma quelli di Fellini erano altri tempi. Oggi Latina si può dotare, in tempi brevissimi di una vera e propria metro di superficie. Penso alla famosa, e non ancora realizzata, “mare monti”, strada a scorrimento veloce che dovrebbe andare dalla stazione al mare. Perché non prevedere al centro, tra le due carreggiate, un ampio spazio dove far passare le due linnee della Metro, ogni tanto si potrebbero realizzare delle stazioni con relativo parcheggio di scambio, magari a più piani dove poter parcheggiare l’auto in tutta sicurezza e prendere così la metro che, in queste condizioni potrebbe viaggiare sicura e veloce, ed avere proprio le caratteristiche di una metropolitana. Accelerazione, decelerazione e una frequenza abbastanza ravvicinata dei passaggi. Gli esperti potrebbero fare i conti e verificare la convenienza, nei tempi di percorrenza, di una tale soluzione che mi sembra la più sensata. Non conosco quale sia il percorso di questa benedetta strada “Mare Monti”, ma qualunque esso sia, e certo non potrà passare per piazza del Popolo, la metro dovrà per forza correre al suo interno, come una linea al servizio, non solo della città, ma anche e soprattutto del territorio. E poi, azzarderei anche l’ipotesi di far scivolare questa metro sotto la città, dalla periferia est a quella ovest, per capirci, dalla Strada Congiunte destre, fino alla via Nascosa. Lo so, sembrerebbe un’opera faraonica. Ma, mi domando, perché queste opere quando devono essere fatte a Latina diventano sempre faraoniche? Faccio notare che il fior fiore delle città del sud, e non parlo di quelle ricche del nord, hanno costruito, già trenta quaranta anni fa, con l’aiuto dello Stato, sotterranee e sopraelevate da paura, che oggi ci permettono di raggiungere, in poco tempo, mete che negli anni sessanta sembrava fossero su un altro pianeta. Il problema è che il nostro povero territorio è stato dimenticato, da sempre, dal governo centrale, nonostante il potere politico dei nostri amministratori sia sempre stato uguale a quello del governo di Roma. Capisco che, al punto in cui siamo, nell’iter della realizzazione della metro, è difficile che si cambino le carte in tavola, ma, visti i precedenti, e soprattutto, visto che ancora sono tante le chiacchiere e pochissimi i fatti intorno a questa metro un po’ sui generis, è anche possibile che la realizzazione di questa opera sia ancora di la da venire. Giova allora fare oggi quel dibattito che, come al solito, non si è fatto a suo tempo. E’ indubbio che un collegamento veloce tra mare città e stazione sia necessario, e allora mi piacerebbe leggere, sulle pagine del suo giornale, anche altre proposte, invece delle solite critiche distruttive che riempiono le pagine dei giornali. E mi piacerebbe, ovviamente, sentire anche il suo parere. La saluto.
Roberto Palumbo
Latina 06 03 2010
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