Il paese in cui vivo
La storia del nostro paese, negli anni, non è stata insegnata nelle scuole come avrebbe dovuto. Ci sono stati episodi, soprattutto del recente passato che non sono stati nemmeno sfiorati. Troppe le ferite ancora aperte. Di alcuni sono venuto a conoscenza solo qualche anno fa. Della parola Foiba non sapevo il significato letterale, figuriamoci quello legato alla guerra. Ma mi son fatto subito una idea.
Il silenzio dei padri
Mai il genere umano aveva vissuto in un’area così vasta, popolata e importante del globo, come l’Europa, un così lungo periodo di pace e libertà. Tutto questo, lo si voglia o no, è avvenuto grazie all’operato di quei politici che presero il potere subito dopo la guerra ed anche alla coltre di silenzio che fecero calare su alcuni episodi che costellarono il periodo critico del passaggio tra la guerra e la pace. Un silenzio che definirei intelligente e che, consapevolmente o inconsapevolmente, avvolse i naturali strascichi che fecero seguito alle indicibili violenze e sopraffazioni delle guerre diventate inutili. Ma la violenza si sa chiama altra violenza e così alle violenze della guerra sono seguite le violenze del dopoguerra. Si sarebbe innescata una spirale di violenza senza fine se la comunità internazionale non avesse deciso di intervenire nel tentativo di pacificare la nazione e di spegnere i focolai di violenza e di guerra. E l’Italia fu l’ultima a dover subire l’opera di normalizzazione, subendo l’ennesima ed ultima invasione. Il nuovo invasore, questa volta con intenti pacifici, ma sempre con metodi violenti, venne da lontano per cacciare via dal nostro suolo, il vecchio invasore. Che gli intenti del nuovo invasore, gli alleati per intenderci, fossero pacifici, lo dimostra la storia. Ancora una volta, e non sarà l’ultima, si scomodò il colosso americano, preoccupato, come lo era la Russia, che due dittatori potessero spartirsi il mondo Però, solo con la violenza si sarebbero potuti abbattere due regimi dittatoriali nati con la violenza e non eletti dal popolo, cresciuti con la violenza. L’Italia dovette subire perdite e distruzioni dalla violenza praticata dagli alleati sul proprio territorio, che gioco forza dovette essere più forte di quella della parte avversa. Violenza che si andò ad aggiungere a quella dei tedeschi in fuga.
Ma ancor di più dovette subire la dilaniante lotta tra italiani che chiedevano la testa di Mussolini considerato causa di tutti i mali, e gli Italiani che erano rimasti fedeli al fascismo. Chi avrebbe comunque potuto dare torto agli uni o agli altri? Una guerra civile che dilaniò il paese per due anni. Un periodo in cui avvennero ritorsioni a delle violenze che già di per se stesse erano state a suo tempo delle ritorsioni, perpetuando così una lunga escalation di violenze su violenze. In questo quadro di ritorsioni continue si inseriscono alcuni episodi che non furono resi di pubblico dominio per non esasperare ancora di più gli animi. Gli episodi delle Foibe non furono altro che ritorsioni come lo furono tanti episodi che oggi vengono alla luce. Gli americani diedero il potere a chi per anni era stato schiacciato dalla violenza fascista, in attesa di regolari elezioni. Ma nello stesso tempo si adoperarono in modo che la violenza non si perpetuasse all’infinito. Contribuirono a chiedere che si posassero le armi per evitare che gli Italiani continuassero a scannarsi tra di loro, e molti lo fecero a cominciare dai partigiani che avevano lottato al fianco degli americani per la cacciata dell’invasore tedesco che i fascisti consideravano amici. Ma bisognava pur mettere un punto a tutta questa storia se si voleva che questo stato rinascesse. A parte i rapporti futuri con i vincitori, si scelse di stendere una coltre di silenzio sugli avvenimenti che si verificarono nei mesi immediatamente successivi alla fine delle ostilità. Non so se fu una operazione consapevole, ma il complice silenzio di chi governò l’Italia in quegli anni, sortì il suo effetto.
I vincitori volutamente tennero nascosti eventi che avrebbero potuto costituire la partenza per nuove e più sanguinose ritorsioni. Rivelare a suo tempo i tragici e tristi episodi di violenza come quelli delle Foibe, avrebbe significato dare l’occasione alla parte avversa di reagire con la violenza e continuare quindi nelle escalation senza fine delle ritorsioni. Se ciò non è accaduto, il merito va ascritto a chi governò l’Italia in quegli anni, che ebbe e mantenne la consegna del silenzio. Si dirà allora che la ripresa in Italia sia avvenuta nella menzogna, ma penso che fosse una cosa necessaria, e comunque che quello fosse il male minore. Come d’altronde dimostra la storia. Solo in questi ultimi anni, dopo mezzo secolo, quei fatti sono venuti a galla. La distanza temporale da quegli episodi luttuosi permette ormai di vivere con un certo distacco i racconti e le verità tenute nascoste per tanto tempo, senza quel coinvolgimento emotivo che cinquanta anni fa sarebbe stato molto pericoloso. Ora bisogna solo sapere, bisogna che venga finalmente a galla la verità dei fatti. Solo ora che il silenzio finalmente ha pagato.
Roberto Palumbo
Latina 08 07 2010
La resistenza è stato un altro argomento di difficile spiegazione e comprensione. Negli anni passati è stato veramente difficile dare ai giovani una spiegazione esauriente di quello che successo alla fine della guerra. La vicinanza degli eventi hanno sempre impedito e influenzato il racconto dei fatti storici così come sono avvenuti. La presenza, che oggi fa parte del passato di fascisti e comunisti, legati alla storia di quegli anni, ha impedito una serenità di giudizio, necessaria quando si parla di Storia. Adesso penso e spero se ne possa parlare in modo scevro da emozioni di ogni tipo. In pratica dopo gli anni del fascismo, che con la guerra e l'alleanza con la Germania aveva vanificato anche quelle cose legate allo sviluppo della nazione, che aveva fatto, si riaffacciarono alla ribalta gli antifascisti, decisi a punire coloro che venti anni prima avevano preso il potere in maniera violenta facendo man bassa di tutti gli oppositori del regime . Caduto Mussolini e arrivati gli americani si formarono i partigiani, cioè coloro che volevano fondare uno stato democratico in Italia, ed infatti, dopo aver combattuto sulle montagne e giustiziato parecchi fascisti, deposero le armi per consegnarle, e si dettero da fare per la democrazia.
Correva l’anno
La scuola si sa, è sempre stato un mondo pieno di luci ed ombre, lo è oggi quando le ombre sono più delle luci e lo era qualche decennio fa, quando molte cose andavano bene, ma c’era, per esempio, il nozionismo. Per quanto riguardava la storia, spesso si chiedeva all’alunno in che data era avvenuta tale battaglia, e quali e quanti erano gli stati che facevano parte di una determinata alleanza. Non si spiegava, e quindi non si chiedeva in sede di interrogazione il perché tale guerra era scoppiata, gli interessi dei vari stati in una determinata regione. Posso ritenermi fortunato, perché, negli ultimi anni del liceo, ho avuto un professore di storia che aveva un modo di insegnamento del tutto particolare, e soprattutto non si fermava ai primi del novecento.
Andava ben oltre, ed arrivava a parlare anche del fascismo, che, in quegli anni, in cui le ferite erano ancora semiaperte, era tabu. Parlare di fascisti e partigiani in modo sereno e distaccato, era difficile perché c’era ancora gente che aveva vissuto quel periodo. Così ricordo che un giorno il professore se ne usci con “Oggi parliamo dell’attentato di via Rasella, chi mi sa dire qualcosa?” Nell’aula piombò il silenzio e tutti si ammutolirono. Io confesso di non averne mai sentito parlare, a sedici diciassette anni. Solo un ragazzo alzò la mano. Era di origine sarda, figlio di militare e, per quanto ne sapessi, era appassionato di aerei ed elicotteri. Fino ad allora mi era anche simpatico. Il professore con il quale c’era un rapporto abbastanza amichevole gli diede la parola, e l’amico, esperto in materia, esordi dicendo che, quello di via Rasella, era un vile attentato terroristico, fatto dai partigiani contro le truppe tedesche, e contro il quale i tedeschi reagirono fucilando i presunti colpevoli nelle fosse Ardeatine. Qui si chiudeva la “spiegazione” di quell’episodio della ultima guerra mondiale da parte dell’amico esperto. Era comunque l’unica voce che si era levata in una classe di una trentina di alunni, Correva l’anno 1966, o giù di li. Per il resto, silenzio ed ignoranza totale. “Nessun altro sa dirmi qualcosa?” ci stimolò il professore. Silenzio assoluto. “Anche io la penso come il vostro amico” disse “comunque vi invito ad andare in biblioteca e cercare qualcosa sull’argomento per farvi una opinione sull’argomento” Nel frattempo cercherò di darvi qualche elemento in più” Ci spiegò della occupazione tedesca e del fatto che Roma stava per essere abbandonata, perché gli americani erano alle porte e stavano facendo una strage dalla Sicilia al Lazio. Ci disse che i tedeschi avevano diritto a difendersi e altre cose. Fesserie, dico oggi, col senno di poi. Ma una opinione quasi tutti se la fecero nel leggere come erano andate le cose.
Qualche giorno dopo, quando la discussione riprese sull’argomento, si erano creati due schieramenti contrapposti. Quelli che erano d’accordo con l’amico e con il professore, e quelli, tra cui il sottoscritto, che sostenevano che: intanto i tedeschi avrebbero dovuto restarsene a casa loro, senza venire a casa nostra a comandare, anche se chiamati dal regime fascista. Poi il regime non era stato eletto democraticamente e quindi era abusivo, come diceva qualcuno. L’attentato non era terroristico, ma bensì un atto di guerra. Guerra che i tedeschi avevano cominciato e avevano voluto, in accordo con i fascisti. I partigiani volevano la libertà del paese e volevano cacciare l’oppressore interno e quello venuto da fuori, così come la vollero durante il risorgimento coloro che, poi, divennero eroi. Non a caso, finite le ostilità essi riconsegnarono le armi. Non a caso, allora, erano venti anni e poco più di pace nel nostro paese, e oggi sono diventati settanta. Il guaio è che ancora oggi c’è chi la pensa come il professore, quel mio amico, e come quel capitano da poco passato a miglior vita e responsabile dell’eccidio delle fosse Ardeatine, assurda rappresaglia all’episodio di via Rasella.
Roberto Palumbo
Latina 27 10 2013
Dopo quel 1966 ho sentito parlare ancora numerose volte del fascismo e della resistenza, ma raramente a scuola. E così di anno in anno, quegli eventi si allontanavano sempre più nel tempo, diventando sempre meno attuali. I giornali ne hanno sempre parlato, chi in un modo chi in un altro. Ma quello che succede oggi è che ancora molti giovani simpatizzano per quel periodo e francamente, non ne capisco il motivo.
Venticinque
Sono stato al nord per una breve vacanza. Li i giornali hanno dato molto rilievo a quello che è successo in un paesino della Emilia Romagna. Ebbene là dove i tedeschi,mentre battevano in ritirata,incalzati dagli alleati che avanzavano,facevano stragi assurde, oggi i giovani non sanno e non vogliono saper niente di quello che successe nei mesi precedenti il 25 aprile del1945. Così sucede che una giovanissima ragazza, che si è buttata in politica, sottoscriva una frase apparsa su face book che esaltava il disprezzo nei confronti di quella data, dei partigiani e di tutti coloro che “tradirono”. Non so se oggi i ragazzi studiano la storia del fascismo e se hanno ben chiaro il susseguirsi degli avvenimenti. Quando ero ragazzo io, erano troppo vive le ferite della guerra e si era ancora tropo coinvolti per poter avere delle idee in merito, che fossero prive di condizionamenti. Ma oggi si può, i ragazzi di oggi dovrebbero essere più distaccati, e, a parte la loro militanza in qualsiasi formazione politica, dovrebbero cercare di capire la storia così come essa si è dipanata nel corso degli anni. Il fascismo andò al potere in maniera violenta e non con libere e democratiche elezioni, per cui non è stata una forza di governo legittima, né legittimata dal consenso popolare. Fino ad alora però così si usava fare. Il consenso venne successivamente perché, all’epoca, o si era fascisti, oppure si aveva una vita dura. Da qui le adunate oceaniche dove quello che diceva il Duce era vangelo.
Chi non era d’accordo doveva restare nell’ombra e in silenzio. E’ vero il duce fece tante opere pubbliche, ma soprattutto per fare grande la nazione, fece educare masse i bambini e ragazzi, ma soprattutto perché gli servivano uomini per fare la guerra. Poi, errore gravissimo, si buttò nelle braccia della Germania, per allearsi con un altro dittatore con cui conquistare il mondo, ma che poi ci invase diventando padrone a casa nostra. Infine, altro errore, volle prendere parte, buon ultimo, al banchetto del colonialismo in Africa. E sono questi gli errori che alla fine pagò. Anzi pagarono gli Italiani. Non so se, con questi presupposti, sia possibile chiamare traditori quelli che non erano d’accordo con tutto ciò. Naturalmente onore al merito di coloro che invece andarono a far parte della Repubblica di Salò. Erano tutti ragazzi cresciuti durante il regime, ed era logico che fossero infatuati di quelle idee che il regime aveva loro trasmesso.
Pensavano insomma di essere nel giusto. Ma non si possono chiamare traditori coloro che scelsero di stare dall’altra parte. La loro patria stava andando a rotoli per colpa del loro capo, e soprattutto per colpa di un pazzo visionario che aveva portato le sue truppe sul nostro suolo. L’Italia era diventata proprieà tedesca. E se chiamiamo traditori coloro che li hanno ricacciati a casa loro, dovremmo chiamare traditori anche coloro che, molto prima, i francesi, gli austriaci e tutti i dominatori che fecero del nostro suolo un bivacco per le loro truppe, e non solo, che hanno saccheggiato il nostro territorio, che hanno ucciso e stuprato ed hanno sempre considerato il nostro stivale come terra di conquista. Quei tempi ormai sono finiti e sono traditori solo coloro che non festeggiano il venticinque.
Roberto Palumbo
12 05 2012
Ma durante il fascismo accadevano anche alcune cose buone. Nelle patrie galere, per esempio a Ventotene c'era già chi pensava all'Europa e si dava da fare per unire in maniera federalista gli stati usciti dalla guerra e per fare gli Stati Uniti d'Europa
Europa
Durante il fascismo, nelle patrie galere c’era già chi sognava l’utopia della integrazione politica degli stati europei. Infatti sulla base degli scritti di Luigi Einaudi e leggendo i testi di alcuni federalisti anglosassoni, un certo Altiero Spinelli, ex comunista che aveva partecipato alla lotta clandestina contro il fascismo, mentre scontava dieci anni di prigione e sei di confino a Ventotene, elaborò insieme a un certo Ernesto Rossi, il cosiddetto Manifesto di Ventotene.
Un altro francese, un certo Monnet nel 1943 aveva detto: Non vi sarà pace in Europa, se gli Stati si ricostituiranno sulla base della sovranità nazionale... I paesi d'Europa sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la prosperità e l'evoluzione sociale indispensabili. E' necessario che gli Stati europei si costituiscano in federazione. Intanto Rossi e Spinelli, in carcere, avevano elaborato questo progetto partendo da una approfondita analisi della crisi dello stato nazionale. La loro convinzione era che solo superando la sovranità assoluta di ciascuno stato, mediante la creazione di una Federazione Europea, si poteva assicurare la pace nel vecchio continente. Quella del federalismo tra stati era una idea rivoluzionaria rispetto alla ideologie tradizionali come il liberalismo, la democrazia o il socialismo. Finita la guerra fu subito chiaro che i governi europei non sarebbero stati capaci di garantire in maniera autonoma la sicurezza dei cittadini e la loro indipendenza economica e allora la sola scelta ragionevole fu quella della unità europea, rendendo possibile l’attuazione delle idee federaliste. Fin dal 1950 i governi cominciarono a lavorare sulla via dell’unità politica. Fu un cammino lento e graduale e, comunque non vennero rispettate fino in fondo quelle che erano le linee tracciate da Monnet e Spinelli per la integrazione di tipo federalista degli stati europei; d’altronde lo stesso Spinelli sapeva che l’attuazione di quelle idee sarebbe stata lunga, infatti aveva chiuso il suo Manifesto di Ventotene con questa frase “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.” Dopo l’atto costitutivo della unione europea siglato a Roma nel 1957 nel giugno del 1979 ci fu la prima elezione diretta, da parte del popolo, dei parlamentari europei. In quella occasione si registrò una percentuale di affluenza alle urne del sessantatre per cento circa.
All’interno del Parlamento eletto a suffragio universale Spinelli continuò la sua lotta, cercando di mettere in atto il metodo costituente. Secondo lui, se da un lato bisognava convincere gli Stati a cedere parte della loro sovranità a favore di un governo sopranazionale e dall’altro bisognava far partecipare il popolo europeo alla definizione di una costituzione che stabilisse la forma e i compiti della nuova unione tra gli Stati. E nel 1984 il parlamento europeo stava per portare a termine la battaglia costituente iniziata da Spinelli. In quella occasione il Parlamento europeo elaborò un progetto di Trattato di Unione, che però non fu approvato successivamente dai Governi, i quali invece approvarono un Atto Unico per l’istituzione di un mercato interno caratterizzato dalla libertà di circolazione di merci, servizi, capitali e persone, a partire dal 1993. Si privilegiò insomma una unione economica ad una unione politica che invece avrebbe dovuto essere la priorità. La debolezza della Europa di oggi sta proprio in questo, nella mancanza di coesione politica tra gli stati. Si dice che l’unione fa la forza e la forza economica non è nulla se non c’e la forza politica. Ce lo insegna la crisi di questi anni, mentre negli USA i vari stati sono compatti in Europa ci sono stati deboli e stati più forti. una Europa insomma a più velocità. adesso sembra che gli Stati si stiano accorgendo che è necessaria quell’unità politica che a suo tempo non fu perseguita a vantaggio di quella economica. La speranza oggi è che, superata la crisi, almeno i nostri figli possano eleggere oltre a un parlamento europeo, un capo di stato o un primo ministro europei, come avrebbe desiderato Spinelli, una figura ancora troppo poco conosciuta della nostra storia.
Roberto Palumbo
latina 20 07 2011
Questi fermenti che già durante il fascismo prendevano corpo, come sappiamo ebbero grazie a Dio un seguito negli anni successivi
La resistenza è stato un altro argomento di difficile spiegazione e comprensione. Negli anni passati è stato veramente difficile dare ai giovani una spiegazione esauriente di quello che successo alla fine della guerra. La vicinanza degli eventi hanno sempre impedito e influenzato il racconto dei fatti storici così come sono avvenuti. La presenza, che oggi fa parte del passato di fascisti e comunisti, legati alla storia di quegli anni, ha impedito una serenità di giudizio, necessaria quando si parla di Storia. Adesso penso e spero se ne possa parlare in modo scevro da emozioni di ogni tipo. In pratica dopo gli anni del fascismo, che con la guerra e l'alleanza con la Germania aveva vanificato anche quelle cose legate allo sviluppo della nazione, che aveva fatto, si riaffacciarono alla ribalta gli antifascisti, decisi a punire coloro che venti anni prima avevano preso il potere in maniera violenta facendo man bassa di tutti gli oppositori del regime . Caduto Mussolini e arrivati gli americani si formarono i partigiani, cioè coloro che volevano fondare uno stato democratico in Italia, ed infatti, dopo aver combattuto sulle montagne e giustiziato parecchi fascisti, deposero le armi per consegnarle, e si dettero da fare per la democrazia.
Correva l’anno
La scuola si sa, è sempre stato un mondo pieno di luci ed ombre, lo è oggi quando le ombre sono più delle luci e lo era qualche decennio fa, quando molte cose andavano bene, ma c’era, per esempio, il nozionismo. Per quanto riguardava la storia, spesso si chiedeva all’alunno in che data era avvenuta tale battaglia, e quali e quanti erano gli stati che facevano parte di una determinata alleanza. Non si spiegava, e quindi non si chiedeva in sede di interrogazione il perché tale guerra era scoppiata, gli interessi dei vari stati in una determinata regione. Posso ritenermi fortunato, perché, negli ultimi anni del liceo, ho avuto un professore di storia che aveva un modo di insegnamento del tutto particolare, e soprattutto non si fermava ai primi del novecento.
Andava ben oltre, ed arrivava a parlare anche del fascismo, che, in quegli anni, in cui le ferite erano ancora semiaperte, era tabu. Parlare di fascisti e partigiani in modo sereno e distaccato, era difficile perché c’era ancora gente che aveva vissuto quel periodo. Così ricordo che un giorno il professore se ne usci con “Oggi parliamo dell’attentato di via Rasella, chi mi sa dire qualcosa?” Nell’aula piombò il silenzio e tutti si ammutolirono. Io confesso di non averne mai sentito parlare, a sedici diciassette anni. Solo un ragazzo alzò la mano. Era di origine sarda, figlio di militare e, per quanto ne sapessi, era appassionato di aerei ed elicotteri. Fino ad allora mi era anche simpatico. Il professore con il quale c’era un rapporto abbastanza amichevole gli diede la parola, e l’amico, esperto in materia, esordi dicendo che, quello di via Rasella, era un vile attentato terroristico, fatto dai partigiani contro le truppe tedesche, e contro il quale i tedeschi reagirono fucilando i presunti colpevoli nelle fosse Ardeatine. Qui si chiudeva la “spiegazione” di quell’episodio della ultima guerra mondiale da parte dell’amico esperto. Era comunque l’unica voce che si era levata in una classe di una trentina di alunni, Correva l’anno 1966, o giù di li. Per il resto, silenzio ed ignoranza totale. “Nessun altro sa dirmi qualcosa?” ci stimolò il professore. Silenzio assoluto. “Anche io la penso come il vostro amico” disse “comunque vi invito ad andare in biblioteca e cercare qualcosa sull’argomento per farvi una opinione sull’argomento” Nel frattempo cercherò di darvi qualche elemento in più” Ci spiegò della occupazione tedesca e del fatto che Roma stava per essere abbandonata, perché gli americani erano alle porte e stavano facendo una strage dalla Sicilia al Lazio. Ci disse che i tedeschi avevano diritto a difendersi e altre cose. Fesserie, dico oggi, col senno di poi. Ma una opinione quasi tutti se la fecero nel leggere come erano andate le cose.
Qualche giorno dopo, quando la discussione riprese sull’argomento, si erano creati due schieramenti contrapposti. Quelli che erano d’accordo con l’amico e con il professore, e quelli, tra cui il sottoscritto, che sostenevano che: intanto i tedeschi avrebbero dovuto restarsene a casa loro, senza venire a casa nostra a comandare, anche se chiamati dal regime fascista. Poi il regime non era stato eletto democraticamente e quindi era abusivo, come diceva qualcuno. L’attentato non era terroristico, ma bensì un atto di guerra. Guerra che i tedeschi avevano cominciato e avevano voluto, in accordo con i fascisti. I partigiani volevano la libertà del paese e volevano cacciare l’oppressore interno e quello venuto da fuori, così come la vollero durante il risorgimento coloro che, poi, divennero eroi. Non a caso, finite le ostilità essi riconsegnarono le armi. Non a caso, allora, erano venti anni e poco più di pace nel nostro paese, e oggi sono diventati settanta. Il guaio è che ancora oggi c’è chi la pensa come il professore, quel mio amico, e come quel capitano da poco passato a miglior vita e responsabile dell’eccidio delle fosse Ardeatine, assurda rappresaglia all’episodio di via Rasella.
Roberto Palumbo
Latina 27 10 2013
Dopo quel 1966 ho sentito parlare ancora numerose volte del fascismo e della resistenza, ma raramente a scuola. E così di anno in anno, quegli eventi si allontanavano sempre più nel tempo, diventando sempre meno attuali. I giornali ne hanno sempre parlato, chi in un modo chi in un altro. Ma quello che succede oggi è che ancora molti giovani simpatizzano per quel periodo e francamente, non ne capisco il motivo.
Venticinque
Sono stato al nord per una breve vacanza. Li i giornali hanno dato molto rilievo a quello che è successo in un paesino della Emilia Romagna. Ebbene là dove i tedeschi,mentre battevano in ritirata,incalzati dagli alleati che avanzavano,facevano stragi assurde, oggi i giovani non sanno e non vogliono saper niente di quello che successe nei mesi precedenti il 25 aprile del1945. Così sucede che una giovanissima ragazza, che si è buttata in politica, sottoscriva una frase apparsa su face book che esaltava il disprezzo nei confronti di quella data, dei partigiani e di tutti coloro che “tradirono”. Non so se oggi i ragazzi studiano la storia del fascismo e se hanno ben chiaro il susseguirsi degli avvenimenti. Quando ero ragazzo io, erano troppo vive le ferite della guerra e si era ancora tropo coinvolti per poter avere delle idee in merito, che fossero prive di condizionamenti. Ma oggi si può, i ragazzi di oggi dovrebbero essere più distaccati, e, a parte la loro militanza in qualsiasi formazione politica, dovrebbero cercare di capire la storia così come essa si è dipanata nel corso degli anni. Il fascismo andò al potere in maniera violenta e non con libere e democratiche elezioni, per cui non è stata una forza di governo legittima, né legittimata dal consenso popolare. Fino ad alora però così si usava fare. Il consenso venne successivamente perché, all’epoca, o si era fascisti, oppure si aveva una vita dura. Da qui le adunate oceaniche dove quello che diceva il Duce era vangelo.
Chi non era d’accordo doveva restare nell’ombra e in silenzio. E’ vero il duce fece tante opere pubbliche, ma soprattutto per fare grande la nazione, fece educare masse i bambini e ragazzi, ma soprattutto perché gli servivano uomini per fare la guerra. Poi, errore gravissimo, si buttò nelle braccia della Germania, per allearsi con un altro dittatore con cui conquistare il mondo, ma che poi ci invase diventando padrone a casa nostra. Infine, altro errore, volle prendere parte, buon ultimo, al banchetto del colonialismo in Africa. E sono questi gli errori che alla fine pagò. Anzi pagarono gli Italiani. Non so se, con questi presupposti, sia possibile chiamare traditori quelli che non erano d’accordo con tutto ciò. Naturalmente onore al merito di coloro che invece andarono a far parte della Repubblica di Salò. Erano tutti ragazzi cresciuti durante il regime, ed era logico che fossero infatuati di quelle idee che il regime aveva loro trasmesso.
Pensavano insomma di essere nel giusto. Ma non si possono chiamare traditori coloro che scelsero di stare dall’altra parte. La loro patria stava andando a rotoli per colpa del loro capo, e soprattutto per colpa di un pazzo visionario che aveva portato le sue truppe sul nostro suolo. L’Italia era diventata proprieà tedesca. E se chiamiamo traditori coloro che li hanno ricacciati a casa loro, dovremmo chiamare traditori anche coloro che, molto prima, i francesi, gli austriaci e tutti i dominatori che fecero del nostro suolo un bivacco per le loro truppe, e non solo, che hanno saccheggiato il nostro territorio, che hanno ucciso e stuprato ed hanno sempre considerato il nostro stivale come terra di conquista. Quei tempi ormai sono finiti e sono traditori solo coloro che non festeggiano il venticinque.
Roberto Palumbo
12 05 2012
Ma durante il fascismo accadevano anche alcune cose buone. Nelle patrie galere, per esempio a Ventotene c'era già chi pensava all'Europa e si dava da fare per unire in maniera federalista gli stati usciti dalla guerra e per fare gli Stati Uniti d'Europa
Europa
Durante il fascismo, nelle patrie galere c’era già chi sognava l’utopia della integrazione politica degli stati europei. Infatti sulla base degli scritti di Luigi Einaudi e leggendo i testi di alcuni federalisti anglosassoni, un certo Altiero Spinelli, ex comunista che aveva partecipato alla lotta clandestina contro il fascismo, mentre scontava dieci anni di prigione e sei di confino a Ventotene, elaborò insieme a un certo Ernesto Rossi, il cosiddetto Manifesto di Ventotene.
Ventotene
Un altro francese, un certo Monnet nel 1943 aveva detto: Non vi sarà pace in Europa, se gli Stati si ricostituiranno sulla base della sovranità nazionale... I paesi d'Europa sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la prosperità e l'evoluzione sociale indispensabili. E' necessario che gli Stati europei si costituiscano in federazione. Intanto Rossi e Spinelli, in carcere, avevano elaborato questo progetto partendo da una approfondita analisi della crisi dello stato nazionale. La loro convinzione era che solo superando la sovranità assoluta di ciascuno stato, mediante la creazione di una Federazione Europea, si poteva assicurare la pace nel vecchio continente. Quella del federalismo tra stati era una idea rivoluzionaria rispetto alla ideologie tradizionali come il liberalismo, la democrazia o il socialismo. Finita la guerra fu subito chiaro che i governi europei non sarebbero stati capaci di garantire in maniera autonoma la sicurezza dei cittadini e la loro indipendenza economica e allora la sola scelta ragionevole fu quella della unità europea, rendendo possibile l’attuazione delle idee federaliste. Fin dal 1950 i governi cominciarono a lavorare sulla via dell’unità politica. Fu un cammino lento e graduale e, comunque non vennero rispettate fino in fondo quelle che erano le linee tracciate da Monnet e Spinelli per la integrazione di tipo federalista degli stati europei; d’altronde lo stesso Spinelli sapeva che l’attuazione di quelle idee sarebbe stata lunga, infatti aveva chiuso il suo Manifesto di Ventotene con questa frase “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.” Dopo l’atto costitutivo della unione europea siglato a Roma nel 1957 nel giugno del 1979 ci fu la prima elezione diretta, da parte del popolo, dei parlamentari europei. In quella occasione si registrò una percentuale di affluenza alle urne del sessantatre per cento circa.
Ernesto Rossi e Altiero Spinelli
Roberto Palumbo
latina 20 07 2011
Questi fermenti che già durante il fascismo prendevano corpo, come sappiamo ebbero grazie a Dio un seguito negli anni successivi